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Sapore di clinto (tredicesima parte)

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"Senti: fino a questo momento, abbiamo parlato di me, cioè, tu mi hai fatto delle domande perché vuoi capire con chi hai a che fare; ma io, in fondo, non sono altro che un essere normalissimo, con due gambe, due braccia eccetera-eccetera.
Invece, io non so praticamente niente, di te; so appena che ti chiami Cinzia. Posso notare, dall'insieme, che non sei spiacevole a vedersi; tutto sommato posso dire che devi avere una discreta cultura, perché sai anche esprimerti decentemente bene; però, di te, non so nient'altro.
Scusami, ma ti ho visto scendere da un centododici che, tra le altre cose, abbiamo sfasciato e ... a proposito: ce l'hai il soccorso Aci? Ricordiamoci di chiamare un carro attrezzi, sennò la macchina col cavolo che la muovi, da lì".
Cinzia capì e cominciò a parlare di lei e della sua vita.
Cominciò col parlare dei suoi studi, dicendo che era iscritta al secondo anno di architettura; poi parlò delle esperienze, prima scolastiche e poi con gli altri ed aprì, a poco a poco, lo scrigno dei suoi pensieri più intimi al napoletano.

Quella sera stessa, quando Cinzia riflette sulla serata, nel soffice tepore del suo letto, si rese conto di aver raccontato tutto il narrabile, di se stessa, senza aver avuto il minimo ritegno; anzi, si sentiva stranamente confortata, mentre parlava.
Arrivati alla frutta, Pippo le fece una domanda.
"Io ... non lo so, ma ... sì, insomma: ti ho invitato ad una cena ... confidenziale, diremo così, e non vorrei, domani, che ti trovassi a dover giustificare la serata per causa mia".
Cinzia lo guardò con un sorriso agro, un poco di traverso.
"L'ultimo ... boy-friend che ho avuto era un imbecille; quello prima di lui, invece, è morto".
Filippo Maria fece l'unica cosa che riteneva giusto fare, in simili frangenti: alzò la mano e le carezzò una guancia.
"Purtroppo son cose che capitano tutti i giorni; un prete direbbe che sono le prove che si devono affrontare per ..."
Di nuovo l'agro sorriso della giovane.
"Ti prego, lascia perdere. Che io, poi, con quelli che mi interessano, ho una fortuna particolare: o sono degli idioti, o è gente così in gamba che mi pianta e fugge a gambe levate. L'unico che, forse, mi è mai veramente interessato, l'ho sentito non più tardi di ieri mattina. Era un pezzo che non ci sentivamo più e si era fatto vivo a maggio: aveva saputo dell'incidente di Bruno e, allora ... Ma lasciamo perdere: voglio parlare di cose allegre!"
Filippo Maria capì l'allusione a Giorgio e, al pensiero di come l'aveva visto all'obitorio, meno di ventiquattr'ore prima, si sentì un blocco di ghiaccio allo stomaco; che gli rammentò, però, il vero motivo di quella serata frivola e decise di sapere qualcosa di più, perciò, riguardo alla telefonata.
"Cos'è, aveva nostalgia di te?" Disse, provocandola con un sorriso.
"No; mi ha detto una cosa pazzesca, anche se potrebbe essere importante". Si scosse, allontanando dalla mente l'inquietante ricordo di quella telefonata, sorrise e cambiò discorso.
Il napoletano, pur rodendosi dalla curiosità, preferì seguire la ragazza sul più tranquillo argomento del tennis. Il resto della cena, si perse in discorsi riguardanti i reciproci gusti musicali.

Verso mezzanotte, dopo aver accolto al loro tavolo Simona con una bottiglia di cognac "specialissimo", lasciarono il locale.
Mentre tornavano verso Genova, il giovane appariva assorto; alla fine di un lungo momento di silenzio, parlò.
"Vedi, Cinzia, riconosco che sia un vero peccato finire una serata come questa così; cioè io che, dopo cena, ti riporto a casa e basta, ma purtroppo ho avuto una giornata veramente impegnativa ed inoltre, la notte scorsa, non ho avuto modo di poter dormire granché; perciò ..."
La ragazza fece un caldo sorriso.
"Cos'è, credi che la serata non mi sia piaciuta, così com'è stata?"
Ti capisco benissimo: neanch'io ho avuto una giornata molto tranquilla, incidenti o non incidenti..." Risero entrambi.
"Cosa ne diresti, allora, del bicchierino della staffa? Conosco un locale simpatico, da queste parti, e potremmo andarci".
La ragazza accettò la proposta e raggiunsero il locale. Si lasciarono, infine, verso l'una, dopo essersi scambiati i numeri di telefono ed essersi ripromessi di incontrarsi ancora.

La mattina dopo, Filippo Maria si svegliò maledicendo quel senzadio che, per ragioni a lui ignote, stava suonando le trombe dell'auto con un impegno degno di migliori cause, sotto le sue finestre.
La sveglia, che indicava le dieci ed un quarto, lo dissuase dal tentare di riaddormentarsi; decise, anzi, di telefonare a Titta per avere sue nuove.
"Ciao, sono Pippo ... come va? ... beh, sono contento ... no, forse se esci è meglio ... mh, si va avanti... sì, l'ho conosciuta ed ho passato tutta la serata con lei ... sì, esatto ... beh, scusa, mica le potevo dire 'aspettami che vado a fare una telefonata', no? ... massi, mi faccio vivo se c'è qualcosa di nuovo ... stammi bene ... ciao!"
Messa giù la cornetta, si accese la prima sigaretta della giornata e si diresse in cucina per prepararsi il caffè.
Lo aveva appena bevuto, quando suonò il telefono; con olimpica calma andò a rispondere e la concitata voce di Cinzia gli sconvolse la pace di quella dolce mattina, spruzzata dai raggi di un pallido sole.

"Pippo, sono Cinzia ... sìssì, bene grazie ... senti, è successa una cosa ... no, ti spiego ... stamattina ho comprato il giornale ed ho letto una notizia ... no, non è niente ... sì, sto piangendo, ma aspetta che ti spiego ... è successo questo ... è morto anche Giorgio ... no, ti ricordi quel ragazzo di cui ti avevo parlato ... sai, quel mio ex che ... sì, esatto, proprio lui ... no, non è che ... beh, insomma, è morto anche lui in un incidente stradale ... l'altro ieri sera ... doveva essere sui giornali del pomeriggio, ma non li leggo mai ... rna non me la prendo troppo per una cosa del genere, Pippo! ... devi sapere che Giorgio era convinto che la morte di Bruno, l'altro mio ragazzo, non fosse una cosa normale; cioè, non so se ti ho detto che era stato assassinato ... sì, esatto ... ti ho detto che era stato un incidente stradale, perché avevano organizzato le cose come se lo fosse stato ... no, è che io preferisco pensare che è stato un vero incidente: mi angoscia meno... c'entra, adesso ti spiego: lui si era messo in testa di stare dietro a questa faccenda ... forse per me, non so... beh, ho paura perché anche lui ha avuto un qualcosa che, a tutta prima, sembra un incidente stradale ... ma sì, magari sarà una combinazione, ma Giorgio diceva di non credere alle combinazioni e anch'io, da un po' di tempo a questa parte ... sì, ho paura... anch'io sento di essere troppo vicina a questa faccenda e non voglio che ammazzino anche me!... ho paura, Pippo, paura! ... sì, ma ... beh, grazie ... aspetta, che me lo segno ... via capodisantachiara ... quarantadue? ah, verso Boccadasse! ... si, vengo subito, sono in piazzaorsini, alla fermata dell'autobus... tra un quarto d'ora sono lì, vengo subito ... grazie, a tra poco". La ragazza riappese la cornetta, uscì dalla cabina telefonica e si incamminò verso Boccadasse, verso la sicurezza che la casa dell'amico le ispirava.

Il napoletano si vestì rapidamente, lavò caffettiera e tazzina e rifece il letto.
Stava posando il guanciale, sprimacciato, al suo posto, quando sentì suonare il campanello. Cinzia, considerò, dimostrava un amore per la puntualità degno di nota.
Fece sedere la giovane sul divano e lei cominciò subito a scusarsi.
"... Perché io dovevo raccontarlo a qualcuno; anche se ti conosco solo da ieri, di te mi fido.
Ho paura, Pippo, 'sento' che anche Giorgio è stato assassinato e non voglio morire, non voglio!"

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Si mise a piangere a dirotto, perciò Filippo Maria le si avvicinò e le accarezzò i capelli, mormorando parole tranquillizzanti.
Quando la ragazza fu meno agitata, il partenopeo, dopo averle offerto un cognac, parlò.
"Scusami, ma sono un po' all'oscuro dei fatti tuoi perché, se fai mente locale, non ne abbiamo parlato in alcun modo; perciò, se tu mi spiegassi cosa sta succedendo, non sarebbe male".
Cinzia annui, si scostò una ciocca di capelli dal volto e cominciò a raccontare.
"Sai, io uscivo con questo ragazzo, Bruno, che a maggio hanno trovato morto nella sua macchina, ucciso da un colpo di tubo in faccia e sfigurato dal fuoco. Il riconoscimento è stato fatto dal padre, basandosi unicamente sugli effetti personali e su delle otturazioni dentarie; sì, perché il ... corpo era carbonizzato. Cioè, c'è una cosa importante, da dire: l'altro ieri Giorgio, quel mio amico morto quella sera stessa, mi aveva telefonato per dirmi che ... sì, come dire? ... beh, ecco ... era convinto che il corpo trovato nell'auto di Bruno, non fosse il suo ... di Bruno, voglio dire! Cioè: lui mi ha detto che era solo un'ipotesi, di non dirlo a nessuno perché non era ancora sicuro; però, visto che mi ha telefonato, penso che doveva essere abbastanza convinto del fatto suo. Ti assicuro che gli piaceva parlare di qualcosa solo quando ne era sicuro; probabilmente aveva la paranoia di dire delle puttanate, ecco!"
Filippo Maria annuì lentamente.
"Ma non ti disse su cosa basava questa sua ipotesi?"
"No, non ne ha accennato minimamente. Era fatto così: gli piaceva far diventare scema la gente, a furia di fare ipotesi sul senso dei suoi ... indovinelli, chiamiamoli così. Un tipo ameno, insomma".
Filippo Maria rifletteva rapidamente, mentre la giovane parlava, su come ciò che Cinzia stava raccontando potesse andare d'accordo con le sue riflessioni di due sere prima, e fu confortato dallo scoprire che, la sua ipotesi sui denti, era corroborata dal racconto della ragazza.
"Sì, d'accordo, i tuoi due amici sono morti in circostanze strane, tu che sei uscita con tutt'e due eccetera-eccetera; ma non capisco da cosa derivi questa tua paura paranoica; scusa la crudezza del termine ma, nonostante il tuo comprensibile stato, dovuto alla scomparsa di questo tuo amico, questo Giorgio, ho l'impressione che tu stia drammatizzando".
La ragazza lo guardò incredula: non riusciva a capacitarsi del fatto che lui non vedesse la pericolosità della sua situazione.
"Io 'sento' che questo non è un normale incidente: per me Giorgio è stato assassinato, né più né meno che Bruno!
E' evidente che Giorgio è stato ucciso proprio perché si interessava a questa faccenda e, siccome ci sono in mezzo anch'io, non voglio fare la loro fine!"
Per sdrammatizzare, Filippo Maria decise di demolire le sue convinzioni sull'incidente, essendo queste convinzioni all'origine delle preoccupazioni della giovane.
"Cinzia, cerca di calmarti! Prima di tutto, voglio ricordarti i dubbi del tuo amico Giorgio, riguardo l'identità del morto. Sembra, comunque, che lui volesse mettere tutta l'inchiesta in discussione; quindi, ammesso e non concesso che lo abbiamo ucciso deliberatamente, bisognerebbe che anche tu ti dedicassi ad un'inchiesta parallela per correre gli stessi, improbabili rischi; non credi? E poi è strano che l'assassino di Bruno, o chi per esso, abbia tenuto d'occhio Giorgio fino al giorno in cui fa questa scoperta e lo abbia, quindi ucciso. D'altra parta non ce lo vedo, questo Giorgio, che va a raccontare in giro le sue teorie, per quanto interessanti possano essere. Pensi che ciò che dico sia sensato?"
La giovane annuì e Filippo Maria decise di abbandonare, per il momento, la "pista del delitto".
Preferiva procedere con calma, per non dare l'impressione di interessarsi troppo alla cosa.
Perciò, fece scivolare la conversazione su argomenti meno drammatici, terreno sul quale Cinzia lo seguì volentieri.
Riuscirono a imbastire una conversazione meno impegnativa e, parlando, passò del tempo; era, ormai, mezzogiorno.
Filippo Maria, notando l'ora, propose di andare a prendere l'aperitivo e, successivamente, tornare lì per il pranzo che avrebbe preparato lui.
La ragazza accettò, con entusiasmo, le proposte del napoletano e fu così che, in capo a pochi minuti, si trovarono nel grosso box attiguo alla palazzina.
A fianco della Stratos, era parcheggiata una vecchissima Cinquecento Fiat, ancora di quelle con le portiere incernierate posteriormente. Sporca oltre ogni dire, mostrava i segni rugginosi delle molte battaglie combattute nei parcheggi di tutta Genova.
"Ma ... è tuo quel... coso?"
"Sì, perché?"
"Ma ... sei sicuro che funzioni,voglio dire... sì,insomma ..."
Pippo fece un'allegra risata divertita.
"Stai tranquilla; sembra una fetenzìa su ruote, ma va che è un piacere. La uso per andare a lavorare, solitamente: non mi va di ostentare la Stratos e, inoltre, questa è molto più comoda per fare un sacco di cose. Dai, sali!"
In effetti, come il giovane azionò l'avviamento, l'utilitaria si mise in moto, con un piacevole rumore di organi meccanici perfettamente funzionanti.
A parte l'aspetto, ed il numero impressionante di gemiti e scricchiolii, provenienti dalla carrozzeria irrimediabilmente compromessa dalla ruggine, la vetturetta non era molto diversa dai milioni di Cinquecento che, tenute amorevolmente dai loro pro-prietari, percorrevano ancora le strade del mondo.
In una ventina di minuti, raggiunsero il bar di Michele, dove ordinarono due aperitivi alla frutta.
Stavano per uscire dal locale affollato, quando Cinzia si sentì chiamare. Un suo amico, qualcosa di appena più di un conoscente, in verità, si avvicinò e le sorrise.
"Ciao. Volevo dirti che stasera ci si vede tutti da Toto; se vuoi venire anche tu col tuo amico ... cominceremo verso le nove e mezzo".
Cinzia guardò Pippo che annuì brevemente.
Così la giovane assicurò la loro presenza alla festa, salutarono 'l'amico', un certo Bubu o Dado ... o Foffo, forse, e risalirono sul rottame che, una volta, era stata una Fiat 500.
Il tragitto verso la casa del giovane venne coperto in silenzio poiché entrambi stavano riflettendo; pensavano a come si erano comportati: Cinzia che aveva chiesto il consenso al napoletano e questi che aveva concesso il suo 'placet'; solo dopo questo la loro partecipazione alla festa era stata, per così dire, garantita. Cominciavano ad essere una coppia! Cinzia era intimamente felice di questo fatto; anche Filippo Maria lo era, in ultima analisi, sino a quando la sua coscienza lo richiamò all'ordine, ricordandogli i motivi per i quali frequentava quella ragazza.
Si accorse, tuttavia, di cominciare a volerle bene.

Tornati a casa, Cinzia si stupì di non aver notato quanto elegante ed accogliente fosse il salotto nel quale il giovane l'aveva accolta.
Era un vano dalle dimensioni assolutamente degne di rispetto, con due porte-finestre che avevano una magnifica vista sul mare; da una parte vi erano due divani di pelle chiara disposti ad elle, moderni nello stile, ma senza essere quelle trappole diaboli-che troppo basse e troppo soffici; in un canto, una poltrona con una piantana formava, evidentemente, l'angolo lettura: un basso tavolino e due enormi casse di amplificazione lo completavano e lo rendevano, evidentemente, anche l'angolo musica, nonostante la giovane non riuscisse a trovare traccia dell'impianto. Una delle pareti, lì accanto, era nascosta da una libreria a muro carica di libri; ad un esame più ravvicinato, Cinzia notò che erano quasi tutti testi filosofici o scientifici, con rare eccezioni narrative scritte da autori come Jonesco, Poe ed Hemingway. La giovane, preso a caso qualche volume, notò che tutti portavano gli inequivocabili segni di essere stati letti almeno una volta.

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Alle pareti erano appesi quadri intonati con l'ambiente; la giovane riconobbe un paio di acquarelli della scuola napoletana ed un quadro che riconobbe per un Correggio autentico!
Camminando su splendidi tappeti persiani, la ragazza si avvicinò alla libreria e cominciò ad osservare ed a giocherellare con numerosi ninnoli che erano su qualche ripiano sgombro dai libri; ad un'estremità della libreria, vi era un oggetto che attrasse la sua curiosità; si volse verso Pippo, tornato in quel momento dalla cucina, ed espresse la sua ammirazione per l'ampio, ma caldo ambiente.
"... Ma soprattutto mi piacciono i tuoi soprammobili: quel gatto siamese laggiù, per esempio, acciambellato in maniera cosi naturale ... sembra vero!"
"C'è un piccolo segreto, mia cara: Cicerone è vero! Non andargli troppo vicino, che graffia e morde! Quel ripiano della libreria è il suo preferito ed è assolutamente incurante di chi gira per casa. La sua immobilità ti può far credere che sia finto; ma non fidarti: se gli vai troppo vicino, scoprirai a tue spese quanto è vivo".
Poi si girò verso il felino e mormorò: "Cicio, vuoi mangiare?" Il gatto si destò, fece un enorme sbadiglio e si stiracchiò; poi, con un balzo elegante, scese dal ripiano e si diresse, con passo indolente, verso la cucina. La ragazza vide, in un angolo tranquillo, anche un tavolino da scacchi con accanto due basse sedie ed un tavolino, più piccolo, sormontato da un'enorme portacenere di cristallo. Il giovane, accortosi dell'interesse di Cinzia sembrò volersi scusare. "Sai com'è; nelle lunghe e fredde sere d'inverno ..."
La ragazza sorrise ed il napoletano le chiese se le seccava pranzare in cucina.
"... Perché, ormai, ti considero abbastanza amica per un pranzo meno formale, più alla buona ..."
Così, in capo a pochi minuti, si sedettero al tavolo della cucina, fornitissima di elettrodomestici.

Dopo pranzo, bevuto un ottimo caffè, Filippo Maria mostrò alla ospite il resto dell'appartamento; la cosa che più colpì Cinzia era la sala da musica: vi campeggiava un magnifico Bernstain a coda e vi si trovava, anche, il più completo impianto stereo che avesse mai visto; ricordava che Bruno avrebbe voluto un impianto "... con roba come si deve: un piatto Torenz, un pre-ampli e un finale Mackintosh, registratori a cassetta ed a nastro Teach, un equalizzatore della JVC ..."; tutti i componenti che ora si trovava davanti, insomma.
Filippo Maria le spiegò che, quando voleva ascoltare un poco di buona musica in pace, faceva funzionare il registratore a nastri e se ne andava a sedere nell'angolo lettura, nell'altra stanza. Continuarono il giro dell'appartamento e, alla fine di questo, la giovane ebbe anche modo di provare la comodità del letto a due piazze, in compagnia del partenopeo.

La sera, verso le nove e tre quarti, si presentarono a casa di Toto, ovviamente con la Stratos (Filippo Maria, pur riconoscendo l'indubbia praticità della piccola Fiat, si vergognava un poco, ad usarla).
La villa dove Toto abitava, era in un magnifico parco della zona di Quarto dei Mille.
Il parco in questione, che si estendeva per un centinaio di ettari, accoglieva altre tre o quattro ville nella più assoluta tranquillità.

Più che una festa, Filippo Maria se ne rese subito conto, si trattava di una riunione tra amici, un'occasione per chiacchierare, per sentire un po' di musica, per bere ed ammazzare la noia, od almeno provarci.
Come tutte le feste di un certo giro, siano esse a Genova, Napoli, Roma od in capo al mondo, era anche l'occasione, per i più smaliziati ed i più ingenui, per farsi uno spinello; Pippo, che aveva stoicamente sopportato la vacuità delle conversazioni per tutta la serata, come sentì il caratteristico odore dello "spino", cercò Cinzia.
"Scusa, ma vorrei andarmene; niente contro i tuoi amici, intendiamoci, è tutta gente simpaticissima, ma purtroppo non posso fare tardi: ho un appuntamento per domani mattina presto; ormai è l'una del mattino e preferirei andarmene a dormire".
La giovane annuì ed, insieme, lasciarono la festa.

Stavano percorrendo via dei Mille, quando Cinzia ruppe il silenzio ...
"Ma ... non ti sono piaciuti i miei amici? Eppure mi sembravi perfettamente a tuo agio, tra di loro".
"No, gente del genere l'ho conosciuta, l'ho, trattata, l'ho frequentata per molti anni. Troppi anni. Poi mi hanno stufato: mi hanno stufato loro, le loro stupide idee, i loro vuoti che cercano di riempire in modo sbagliato. Non li disprezzo perché, fino ad un po' di tempo fa, io ero come loro e chi è senza peccato ... eccetera-eccetera".
Cinzia sapeva che Filippo Maria era nato in quell'ambiente e capiva che lo aveva frequentato a lungo, abbastanza a lungo da capirne le bassezze, le ambiguità; intuiva, però, che ci doveva essere qualcosa d'altro, probabilmente, e si ripromise di scoprirlo.

Filippo Maria ritirò il biglietto dell'autostrada e lo passò, in quel silenzio che si protraeva ormai da molto, a Cinzia.
La Stratos prendeva velocità, mentre il casello di Milano, ammantato di neve, rimpiccioliva rapidamente alle loro spalle.
Cinzia si accese una sigaretta, si girò un poco verso il napoletano e, infine, parlò.
"Senti, Pippo, se volevi stupirmi, o commuovermi, devo dirti che ci sei riuscito perfettamente; mi hai anche incuriosito, tra l'altro. Non credo proprio che tu mi abbia portato a vedere Bruno così, tanto per fare qualcosa. Penso che mi debba delle spiegazioni, a questo punto".
Il partenopeo fece un sorriso malinconico, si accese una sigaretta ed annuì stancamente.
"Siamo arrivati al momento delle spiegazioni drammatiche, penso. Va bene: cominciamo. Non c'è stato niente di fortuito, nel nostro incontro: ti sono venuto deliberatamente addosso, giusto per avere un motivo per parlarti, cercare di diventare tuo intimo e conoscere te ed il tuo ambiente. Così sono trascorsi i primi due mesi. No, non interrompermi, avrai tutte le risposte alle tue domande. I primi due mesi, dicevo, li ho trascorsi studiando te ed il tuo ambiente: volevo vedere se eravate lo stesso marciume che c'era giù, a Napoli, o se eravate diversi; purtroppo possono cambiare i luoghi o le abitudini, ma il comportamento delle persone resta, grosso modo, lo stesso. Adesso: ricordi quando ti sentisti male ed andammo da quel dottore, Schiavoni? E' stato lui a darmi l'idea: non me l'ha raccontata giusta fin dal primo momento. E' ... il modo strano di portare gli anelli, per esempio, o il modo di parlare, il modo di toccarsi i capelli, mettila un po' come vuoi ... Tu avevi detto che Schiavoni era il medico di Bruno e, generalmente, un medico è anche un confessore. Sì, perché, quando vai da un medico, chissà come mai, escono delle cose balorde, gli racconti delle cose che, in effetti, puoi evitare di raccontare agli altri. Così mi venne l'idea: sì, decisamente Schiavoni pendeva un po', anche se molto ben mascherato".
Il giovane moderò l'andatura: era un discorso lungo, quello che doveva fare, e voleva arrivare a Genova solo dopo averlo finito.

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