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Sapore di clinto (dodicesima parte)

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Trovò l'amico vicino al letto, con un vassoio occupato da due tazzine di caffè, dalla zuccheriera e da un pacco di biscotti che aveva, fortunosamente, trovato in cucina.
Ringraziò, con un sorriso, il giovane della premura e fece rapidamente colazione.
Quando finì, Filippo Maria le offrì una sigaretta, si sedette sul letto ed espresse i propri dubbi.
"Vedi, Titta, ieri sera mi hai raccontato alcune cose; ora, scusa la sfiducia, tu saprai senz'altro che un individuo, anche il più equilibrato, se sottoposto a forti tensioni, può dar corpo a ... ai fantasmi della propria mente, come dicevano nei romanzi dell'ottocento.
La domanda che ti faccio, quindi, è questa: le cose che mi hai raccontato ieri sera, sono le stesse che mi racconteresti stamattina? Ti ricordi cosa hai detto, o non ricordi nulla?"
Lei spalancò gli occhi, scosse il capo e protestò.
"Ma cosa ti ho detto? Ho semplicemente raccontato i fatti, così come sono e come li avevo saputi da Giorgio. Se vuoi te li posso anche ripetere, in qualsiasi momento".
Il giovane la pregò di farlo e lei gli riepilogò sinteticamente i fatti.
Il partenopeo era convinto, adesso, che ciò che la ragazza gli aveva raccontato era, con ogni probabilità, vero o che, almeno, la ragazza conosceva quella verità.
Alla fine della narrazione, Filippo Maria espresse il suo parere sulla faccenda tutta.
"Scusa se ti ho fatto ripetere la storia, ma volevo essere sicuro delle tue asserzioni, ora che non sei più sotto choc.
Comunque sono d'accordo con te: il caso comincia a delinearsi chiaramente; il fatto che Giorgio, cioè, possa essere stato ucciso, è una cosa che da decisamente da pensare e che sembra realistica anche a me.
Non mi convince neanche il fatto dell'incidente, non mi va giù che si cerchi di liquidarlo così alla veloce; cioè: mi sentirei come un bambino se dovessi dire: 'sì, è vero quello che ha detto Olcese perché io mi fido di lui'. Per me è inammissibile; cioè, diremo, (accidenti quanti cioè, stamattina!), ci sono molte probabilità che non sia vero; primo perché so come Giorgio guidava e so benissimo che Giorgio, a meno che non trovasse un pazzo, pazzo almeno quanto lui, non si andava a fracassare.
Secondo: perché Giorgio lo considero una persona abbastanza attenta e accorta, nonostante le apparenze, (cioè che, quando andava in macchina, bisognava sparargli addosso).
No, più ci penso e meno la credo possibile, l'ipotesi dell'incidente banale, causato da un qualsiasi pirata della strada.
Visto che ora, tutto sommato, ci posso stare un pochettino dietro, voglio proprio vedere come va a finire; non posso non considerare anche che, nella storia di Giorgio, sei coinvolta anche tu e, ovviamente, non voglio che ti capiti qualcosa.
C'è già stato un morto, ce n'è stato un secondo ed anche un terzo; senza contare il precedente delle ruote di Giorgio; direi che c'è proprio qualcosa che comincia a non funzionare.
Inoltre, visto che Giorgio ha affrontato la cosa quasi di petto, non ho intenzione di procedere alla stessa maniera, visti anche i risultati: correremmo soltanto dei rischi, a questo punto, perché va da sé che, se mi metto a ripercorrere la strada che Giorgio ha già percorso, qualcuno mi ha dato l'imbeccata. E, a questo punto, ci può essere solo una persona che me l'ha data: tu! Questo perché io conosco soltanto te, dei personaggi di questa storia; d'accordo, se ricomincio l'indagine, potremmo essere in pericolo in due, ma ho la convinzione che sia meglio rischiare in due, piuttosto che lasciarti ad aspettare gli eventi, che intuisco funesti, per quanto ti riguardalo l'impressione che è cominciato un certo gioco al massacro e non voglio stare con le mani in mano a guardare".
Filippo Maria, alla fine della lunga tirata, capì che Titta, forse, aveva fatto fatica a seguire ciò che aveva detto; le chiese, perciò, scusa ed imputò alla notte in bianco la sua poca chiarezza.
La giovane, che non aveva mai visto l'amico accalorarsi così, si affrettò ad assicurargli che aveva, invece, capito quanto il napoletano gli aveva illustrato. Infine, espresse un'idea che le era balenata in quell'istante.
"Sì, va bene; ma almeno avvertiamo Olcese, lui ti potrà ..." "No, non voglio altra gente, al corrente; preferisco non rischiare soffiate, tanto più che l'indagine la faccio, diremo così, alla buona: non mi interessa avere il porto d'armi e cose varie come Giorgio. Comunque me la prenderò con calma; non andrà molto per le veloci, perché è una cosa che va affrontata da sotto; cioè, non va presa di petto: va aggirata.
Perciò è una cosa che fa perdere del tempo; è un'indagine soprattutto dell'ambiente in cui i delitti sono maturati. Anche perché qui non ci sono più indizi da esaminare poiché, ammesso che ci siano stati, saranno ormai andati persi. C'è da esaminare l'habitat di questa gente; si tratta di un'indagine induttiva, non come quella di Giorgio che è stata deduttiva, fatta a botta calda; questa non sarà così, a botta e risposta, sarà fatta rilevando gli indizi, le tracce estremamente labili, ormai, lasciate chi lo sa da chi. L'importante sarà riuscire ad entrare nell'ambiente del... come si chiama lì, dello Spagnolo, o almeno nella sua sfera di amicizie ..." fece una breve pausa per accendersi una sigaretta "... nelle sue amicizie, dicevo; cercare di capire che razza d'ambiente fosse e, a questo punto, cercare di far venire fuori quello che Giorgio ha saputo con domande dirette".
Titta lo guardava stupita: l'amico aveva fatto un quadro della situazione approfondito e realistico, anche se piuttosto incasinato, segno che doveva averci riflettuto su per buona parte della notte.
Fece la domanda più ovvia.
"E cosa conti di fare?"
Filippo Maria riflette qualche istante; era stato così preso dalla realizzazione teorica, da non aver neanche preso in considerazione i problemi che l'aspetto pratico dell'indagine comportava.
"Beh, ho quattro giornate libere, compreso oggi, che mi spettano dopo essere tornato dal trasferimento temporaneo; quindi il tempo per impostare la faccenda ce l'ho. Ora pensavo ... sì, hai le chiavi dell'appartamento di Giorgio?"
Titta annuì e le andò a prendere. Tornando, chiese all'amico come contava di agire.
"Pensavo di fare una scappata in casa di Giorgio: magari potrei trovare qualcosa che mi aiuterà a portare avanti questa faccenda. Non è da escludere che Giorgio possa aver dimenticato, o semplicemente non averti voluto raccontare, qualcosa; o, anche, che tu possa aver scordato di dirmi un qualunque particolare. Non so, onestamente; diciamo che spero che là mi vengano delle buone idee, ecco".
Seduto in macchina, rivolse uno sguardo amorevole al cruscotto. Quella Lancia Stratos era la sua passione: l'aveva comprata dopo un periodo particolarmente felice al tavolo da poker. Il bolide, bianco, era oggetto delle amorevoli cure del bancario, lavata ogni settimana e sottoposta ad inceratura ogni quaranta-cinquanta giorni. Il potente motore non aveva un granello di polvere o la più piccola macchiolina d'olio: Filippo Maria asseriva, scherzosamente, che era più pulito il suo motore della coscienza di un neonato.
Come il giovane azionò, infine, l'avviamento, i tubi di scappamento si risvegliarono a nuova, fragorosa vita.
Mentre faceva scaldare debitamente il motore, riordinò le idee e decise, prima, di fare una scappata a casa sua, giusto il tempo di fare una doccia e cambiarsi.
Così, poco tempo dopo, entrò nel villino che occupava per un affìtto simbolico: potenza dei parenti. Il villino, in via Capo di Santa Chiara, era di un suo 'cugino', figlio di un parente il quale, a sua volta, aveva sposato la cugina della sorella di... insomma: una di quelle persone che ci si ritrova ad avere come parente senza aver capito bene come.

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Questo suo cugino aveva lasciato da anni Genova e, sapendo che Filippo Maria stava per essere trasferito nel capoluogo ligure, glielo aveva affittato per una pigione puramente simbolica.
Era, questo, un villino a strapiombo sulla baia di Boccadasse, a due piani, per il quale un agente immobiliare avrebbe chiesto cifre decisamente al di fuori della portata di molte tasche. Il giovane era soddisfattissimo di quella sistemazione nel quartiere più esclusivo di Genova, quell'Albaro intorno al quale, se ne rendeva conto solo ora, gravitava tutta quell'assurda storia nella quale si era andato ad impelagare.
Dopo un'ora uscì da casa sentendosi decisamente meglio. La cura della sua persona lo rilassava splendidamente ed una rapida occhiata, nello specchio dell'ingresso, lo aveva convinto che ne era valsa la pena: un giovane di circa una trentina d'anni, alto intorno al metro e settantacinque e con un fisico robusto da lottatore, gli aveva sorriso da dietro una barba molto curata e folta; il colpo d'occhio era piacevole e sobriamente elegante.
L'appartamento di Giorgio era sì disordinato, ma con quel disordine che era il segno di una personalità, di una persona con tanti interessi.
Sulla panchetta dell'ingresso, Filippo Mario trovò una radio-sveglia nuova, ancora nel suo imballo originale. Ricordava vagamente il rapporto di amore-odio che Giorgio viveva nei confronti della classica, fracassona sveglia ed un qualcosa, molto simile alla commozione (anzi, troppo!), gli pizzicò dolorosamente il cuore.
Decise di cominciare a frugare un basso mobiletto, con funzioni di archivio, che Giorgio aveva sistemato nel living-room.
Cominciò a frugare, sistematicamente, i cassetti che vomitarono quintali di carta: appunti, documenti, ricevute, fatture, lettere, agende, un album di fotografìe e, nell'ultimo, una notevole raccolta di riviste pornografiche. Sorrise mestamente: quello era lo 'scheletro-nell'-armadio' dell'amico scomparso; come tutti, anche Giorgio aveva le sue piccole manie segrete: sessi di carta in sostituzione di più realistiche cose fatte ai 'danni' di Titta. Lo sfogliò distrattamente e rimase stupito nel notare che tutte, senza eccezioni, raffiguravano situazioni sadiche, violente; il suo amico, così gentile, così educato, così buono, al limite della coglioneria, che risultava essere, in realtà, un dottor Jeckill (esistente solo nei suoi desideri, fortunatamente!)
Lasciò l'oscena raccolta e cominciò l'esame del materiale. Dopo un quarto d'ora, vide una vecchia agenda e, sfogliandola, trovò l'indirizzo di Cinzia che ricopiò su un foglietto.
La scoperta lo galvanizzò e cominciò a sentirsi sulla giusta strada; infatti, in fondo ad un cassetto, trovò un pacco di fotografie tenute insieme da un elastico: esaminandole, si rese conto che doveva trattarsi delle foto delle ragazze con le quali Giorgio era uscito. Su alcune di esse c'era una qualche dedica tipo "Tua per sempre" (La fotografia?), "Non ti dimenticherò mai" od un semplice "Ti amo".
Una di queste era dedicata "Con infinito amore, tua Cinzia" ed era il primo piano di una ragazza che, grosso modo, poteva adattarsi alla descrizione, fattagli da Titta, di Cinzia Righetti. Filippo Maria sorrise: aveva ricavato dalla ricerca solo l'indirizzo ed una foto della ragazza, per ora, ma era più di quanto potesse umanamente sperare.
Continuò a frugare tra le cose di Giorgio per diverso tempo, concedendosi anche un pasto frugale con le derrate, destinate a deteriorarsi ed a marcire, trovate nel frigo dell'appartamento, che non sarebbe più stato visitato per parecchio tempo.
Uscì verso le cinque del pomeriggio, con una borsa colma di scartafacci e cose varie, quel genere di cose che gli inquirentidell'antiterrorismo, avrebbero senz'altro definito "materiale molto interessante".
Dopo una rapida consultazione del suo orologio, decise che avrebbe potuto andare a fare una ricognizione e vedere la casa della famosa Cinzia.
Raggiungere via Siena, specie con una vettura voluminosa come la Stratos, può essere problematico: si tratta, infatti, di percorrere via Orsini in salita sino all'edicola dei giornali; lì giunti, ci si inerpica per una rampa ripidissima sulla sinistra, in cima si svolta ancora a sinistra in via San Luca d'Albaro, seguendone il tracciato tortuoso e strettissimo; arrivati al primo stop, si gira a destra, si maledice l'immancabile che ha sentito l'incontenibile impulso di parcheggiare in quella strettissima svolta e, finalmente, si raggiunge la meta agognata: via Siena! (non crediate che, al volante di una Cinquecento, sia meno faticoso!).
Percorrendola per tutti i suoi seicento metri, si arriva davanti al numero venticinque ed agli ultimi dieci metri della strada.
Nonostante le difficoltà citate (quelle non citate sono ben più gravi e ben più numerose), i genovesi che possono permetterselo prediligono, in maniera particolare, questa strada inaccessibile; aver scritto, sui documenti o sui biglietti da visita, "Via Siena" è uno status-symbol più efficace dello yacht o della rimessa stipa-ta di Rolls-Royce.
Filippo Maria, giunto infine in vista del celebre rustico, stava manovrando per tornare indietro, quando dal portoncino del 25 uscì una ragazza che, per quanto l'apparizione fosse stata molto breve, il napoletano giudicò si trattasse di Cinzia Righetti.
La ragazza si diresse verso una A 112 crema col tetto nero e Pippo ebbe modo di riconoscerla con sicurezza, grazie alla complicità della luce di un lampione.
La giovane, acceso il motore dell'utilitaria, si avviò verso lo sbocco della strada.
La vetturetta percorse tutta la via, tallonata da Filippo Maria, che aveva, improvvisamente, deciso di seguirla. Arrivati all'incrocio con via Pisa, la donna svoltò a destra, dirigendosi verso il centro, mentre il partenopeo stava rapidamente riflettendo sul come agire.
Nel frattempo le due auto avevano imboccato via Galli, una strada a senso unico che costeggia le piscine di Albaro e che, per il poco traffico che la impegna ed il fatto che è alberata, suggerì a Pippo un'idea molto rischiosa per contattare la giovane.
Valutò la modesta andatura della vetturetta, lampeggiò coi fari per chiedere strada e iniziò il sorpasso.
Quando calcolò che la sua ruota posteriore fosse all'altezza di quella anteriore dell'Autobianchi, azionò lo sterzo in modo da far compiere, alla propria auto, una leggera accostata a destra; così facendo urtò l'A 112 che andò a sbattere contro un albero.
Il giovane, allora, frenò, accostò a destra e scese dirigendosi verso il veicolo danneggiato dalla sua manovra.
"Scusami, accidenti! Ti sei fatta male?"
Cinzia, un poco intontita dallo scontro, scosse il capo.
"Sai, avevo quasi finito il sorpasso quando un gatto mi ha attraversato la strada e, per evitarlo ... Cosa vuoi, penso che le macchine si possano sempre riparare mentre, di un gatto, non se ne cura nessuno. Guardiamo i danni della tua macchina, ora".
I calcoli di Filippo Maria si erano .dimostrati esatti: l'utilitaria aveva un parafango deformato in maniera tale da rendere impossibile il proseguimento della marcia.
Dopo che ebbero espletato le formalità assicurative, Filippo Maria fece una proposta a Cinzia.
"Sono veramente spiacente per la perdita di tempo e del danno che ti ho causato. Se ti posso accompagnare da qualche parte ... è il minimo che possa fare".

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La ragazza aggrottò deliziosamente le sopracciglia, valutando quello strano amante degli animali: un misto di criminalità e di cortesia demodé, con un sorriso accattivante ed uno sguardo profondo, perduto alla ricerca di orizzonti lontani.
Decise che, a prescindere dalla maniera brutale con la quale lo aveva conosciuto, il tipo era simpatico. Optò per il sì.
"Mah, avevo un appuntamento con un'amica dalle parti di piazza Manin, ma è tra quasi un'ora ..."
"In questo caso, spero che non rifiuterai se t'invito a bere qualcosa. Conosci un locale simpatico?"
"Beh ... io ed i miei amici, spesso capitiamo in un bar di via Malta: l'Old Smuggler Bar; non so se lo conosci".
"Non mi sembra, è un pezzo che manco da Genova. Se mi indichi il percorso, potremmo anche avviarci".

Durante il tragitto, Cinzia rifletteva su quello strano personaggio : vestiva con disinvolta eleganza, aveva modi da vero signore ("nell'anima, non nel portafogli" come diceva Giorgio) e si portava a spasso con un'auto che non era, esattamente, alla portata di tutti. Sapeva soltanto il suo nome "Filippo Maria, ma gli amici mi chiamano Pippo, tout court".
Decise di voler approfondire la conoscenza e fece la domanda più banale: "Cosa fai nella vita?"
"Lavoro al Banco di Roma, ma solo per ammazzare il tempo".
Cinzia lo guardò, disorientata dalla risposta sibillina.
Il napoletano fece un vago sorriso e spiegò.
"Nel senso che non sono come la maggioranza della gente che deve lavorare per guadagnare la pagnotta: io potrei non farlo ma, per tutta una serie di ragioni, preferisco fare l'esperienza e vivere da persona normale."
Qualcosa diceva a Cinzia che quella doveva essere la verità e rinunciò a fare altre domande, pur riservandosi di voler appurare qual'era la "serie di ragioni" di cui sopra.
Da parte sua, Pippo era troppo intento a studiare la prossima mossa per incoraggiare la conversazione.
L'Old Smuggler Bar è un locale lungo e stretto che, grazie alla qualità delle composizioni dei barmen, era sempre pieno come un uovo, ma soprattutto dalle cinque alle dieci di sera.
I due, perciò, subirono stoicamente le mille piccole sevizie tipiche dei locali affollati, ma riuscirono fortunosamente ad occupare un tavolino nella micro-saletta, battendo sul tempo un'altra coppia.
Appena si sedettero, si avvicinò un giovane che esclamò: "Allora, nostro signore, ben tornato!"
Filippo Maria si volse, osservò l'uomo con uno sguardo gravido di degnazione e disse:
"Sì, sono tornato. Adesso vorrei da te una cortesia: mi porteresti un'acqua minerale, se la sai preparare?"
Cinzia notò, stupita, lo scambio di battute tra il napoletano ed il padrone del bar che rimbeccò subito. "Tu, l'acqua minerale, te la vai a far portare in un altro bar!"
"Vabbé, allora portami un'acqua semplice, se ti costa tanta fatica la minerale".
Michele, il padrone del bar, sorrise e chiese:
"No, dai, cosa prendi? Sei sparito, non ti sei fatto più vedere e non ho potuto avvertirti che ho venduto l'altro bar e che ho preso questo. Anzi, aspetta un momento, che se ti fidi ti servo io".
Scomparve brevemente per tornare, dopo poco, con tre flùtes di champagne e sedersi al tavolo con loro. "Questo è quello che piace a te, se ben ricordo".
Cinzia era turbata: chi era questo individuo così in amicizia col padrone del 'suo' bar, quel Michele che sapeva sempre tenere simpaticamente al posto loro i clienti?
Frattanto i due conversarono amabilmente per una decina di minuti.
Le orecchie della ragazza attinsero alcune notizie sul suo nuovo amico: il banco di Roma lo aveva mandato in missione a Trieste per un anno: era tornato il giorno prima e, per adesso, si sarebbe goduto qualche giornata di riposo, prima di ricominciare a lavorare.
La ragazza si scusò con i due ed andò a telefonare. Aveva deciso che Filippo Maria la incuriosiva e, giusta ambizione, voleva comprenderlo. Pensò a quanto era interessante, ai suoi occhi, e decise che forse, se le avesse fatto un po' di filo ...
Tornata al tavolo, vide il napoletano sorriderle e scusarsi.
"Scusami Cinzia; mi stava uscendo di mente il tuo appuntamento ..."
"Non ti devi scusare: la telefonata che ho fatto adesso, era a quell'amica che dovevo vedere; volevo avvisarla che sarei stata un po' in ritardo, ma mi ha detto che stava cercandomi per disdire l'appuntamento. Così ora sono libera come il vento".
Filippo Maria le sorrise e, con fare accattivante, disse:
"Visto che sei libera, ti faccio una domanda indiscreta: preferisci cenare in un qualche simpatico locale, od una normale cena casalinga a lume di candela?"
"Perché, scusa?"
"Mah, vedi; vivendo da solo, ho imparato a cucinare qualcosina, cucinare mi diverte anche, perciò, se vuoi, ti invito a cena, cioè: ti sto, praticamente, invitando a cenare insieme; se vuoi andare in un locale, dimmi dove; se, invece, preferisci una cena casalinga, non hai che da chiederlo".
Cinzia riflette brevemente e le parole le vennero spontanee, senza che lei si rendesse, quasi, conto di dirle.
"Se per te è lo stesso, preferirei un locale, per stasera".
Era caduta nel semplice trabocchetto dalla falsa alternativa, ma non era quello, che la turbava: si stava comportando come una stupida bigotta; lui le piaceva, era simpatico, elegante: che male ci sarebbe stato ad andare a cena a casa sua?
"Non è che, alle volte, tu abbia già un impegno per cena, tipo padre severo, marito geloso o riunione tra antiche compagne di scuola?"
La giovane sorrise. "No, no, niente di tutto ciò, per carità; mi basta fare una telefonata a casa e possiamo fare quello che preferiamo".
Dopo la telefonata, rimasero nel locale a chiacchierare amabilmente, dapprima; ma, dopo qualche minuto, Pippo ebbe la netta sensazione di essere sottoposto ad uno dei più stringenti interrogatori della sua vita, condotto da quella ragazza dall'aria così dolce e così distratta. Stette al gioco e rispose a tutte le domande: chi era, cosa faceva, come la pensava, quali erano i suoi sogni, i suoi tormenti, le sue aspirazioni, perfino il suo segno zodiacale.
Cinzia, però, avvertì come un muro invalicabile intorno a ciò che era la famiglia del napoletano; le risposte che aveva avuto, quadravano con ciò che pensava del giovane, ma il tutto le era stato detto... con reticenza, ecco la parola adatta!
Verso le otto e mezza, Filippo Maria si alzò e la prese sottobraccio.
"Pensavo di andare a trovare degli altri amici, che hanno giusto un ristorante, sperando che abbiano ancora il locale aperto".
Dopo circa un'oretta raggiunsero il locale 'da Simona', all'estremità orientale della città, a Capolungo.
Filippo Maria, ovviamente, spese dieci minuti in saluti e risposte varie a Simona ed a suo marito, Aldo; Cinzia notò che si stava rapidamente abituando agli obblighi sociali del giovane.
Seduti finalmente al tavolo, fecero onore alla cucina del locale e Filippo Maria continuò, pazientemente, a sottoporsi al terzo grado fattogli dalla ragazza per un'altra ventina di minuti.
Trascorso questo lasso di tempo, in attesa del primo, il napoletano guardò negli occhi la ragazza e le disse:

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