Here's GENOVA

Sapore di clinto

La vostra curiosità è davvero irrefrenabile! Se siete arrivati fino a questa pagina web, forse volete saperne di più sul romanzo che ho pubblicato nel lontano 1982, con il parziale contributo di un amico che non ama apparire ed è, quindi, indicato solo con le inziali P.R. La cosa più giusta da fare, quindi, mi è sembrato darvi l'opportunità di leggerlo qui, visto che le 2000 copie di tiratura iniziale (drammaticamente a nostre spese!) sono esaurite da un pezzo! Che dirvi, se non buona lettura?

N.d.W.: essendo Sapore di Clinto un romanzo non diviso in capitoli, ma scandito solo da paragrafi, per facilitarvi la lettura l'ho diviso in "moduli", ognuno dei quali è il testo di 4 pagine del libro; per non fare, poi, una colossale pagina web unica, ho messo solo 3 moduli per ogni "parte", che potrete raggiungere cliccando sugli appositi links. (man mano che le parti saranno disponibili, i links passeranno dall'arancio al blu; come sempre, stiamo lavorando per voi!!)

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15a Parte
Ogni riferimento a persone o avvenimenti realmente accaduti è da ritenersi assolutamente casuale
SAPORE DI CLINTO

L'appuntato Naria posò il fumetto 'per soli uomini' "Proprio sul più bello!" sbuffò, borbottò un accidenti e sollevò la cornetta.
"Centotredici!... come dice?..." allungò una mano, accese il registratore e pigiò il pulsante per chiamare il funzionario di servizio, "...ripeta con calma, prego... un incidente, dice?... dove? ...sull'Aurelia tra Pieve e Sori? ...sì, ho capito il punto... in fiamme, ha detto? ...bene, lei è testimone? ...vabbé, resti lo stesso sul posto ad aspettare le nostre macchine, le ho..." Si girò verso il dottor Verdi, il funzionario di servizio, e bestemmiò.
"Solito stronzo: ha riattaccato!" disse, come se il superiore non avesse ascoltato l'ultima parte della telefonata dalla cuffia. Verdi cercò di sbadigliare il meno vistosamente possibile, si rimise un lembo della camicia nei pantaloni e si strinse nelle spalle; poi indicò col pollice la stanza accanto, la sala radio delle volanti, sbadigliò ancora e se ne ritornò alla brandina grattandosi il naso.
Naria avvertì le volanti della chiamata e riprese a leggere le avventure di Maghella. Il servizio notturno, lì al centralino del 113 della questura di Genova, era una tale barba che avrebbe, forse, voluto tornare a far servizio sulle volanti; e poi quel Verdi, che sbadigliava e borbottava in continuazione, quando era di servizio...


La volante 21 arrivò sul luogo dell'incidente diciotto minuti dopo la chiamata, alle 04.56 di una fresca mattina di maggio.
Un paio di minuti dopo arrivarono un carrogrù, i pompieri ed un'ambulanza, mentre due auto di passaggio si fermavano e gli occupanti si univano ad altri curiosi sul luogo del sinistro.
Il brigadiere Maggi si incavolò come al solito: "Peggio degli avvoltoi: tutti tra i piedi per poter guardare e dare il brivido agli amici raccontandoci dei corpi fracassati! Ed alle cinque del mattino, poi!"
Guardò giù, nello strapiombo; là in fondo, ai piedi della scogliera, un'auto finiva di bruciare. Nell'aria il lezzo della gomma e della carne bruciata.
Si mise in comunicazione con la centrale operativa e, dopo una quarantina di minuti, vennero raggiunti dal medico legale e dal commissario Olcese, che Maggi conosceva di vista.
Quando dio volle, era già mattina inoltrata, venne recuperato quel che rimaneva di una A 112 verdina e del suo conducente, dopo il volo di una sessantina di metri e l'incendio violentissimo.
Da ciò che restava del libretto di circolazione, si poté appurare che l'auto era intestata a tale Spagnolo Bruno, nato a Genova il 28 aprile 1957 ed ivi residente in via Giordano Bruno 46.


Renata Spagnolo spense rabbiosamente la sigaretta fumata a metà nel portacenere di cristallo, ormai strapieno, si girò verso il marito e lo assali.
"Non mi frega un cazzo di quello che possono pensare se avverti la polizia; Bruno non ha mai tardato così tanto, sono quasi le dieci, e gli può essere capitato qualcosa ...stronzo!"
Flavio capì che sarebbe stato meglio fare come voleva la moglie: Renata era così volgare solo quando era prossima ad una crisi di nervi.
Aveva appena preso in mano il piccolo telefono da salotto, quando sentirono suonare alla porta.

Quasi subito la piccola colf filippina entrò, pallidissima, nell'elegante soggiorno ed annunciò, a bassa voce, la visita di un "Signore della Polizia"; poi si girò e corse in cucina, singhiozzando.
Gli Spagnolo, trascurando di riprendere la colf per il suo comportamento poco formale e dimentichi essi stessi del comportamento corretto (le persone del loro ceto sono sempre distaccate, che diamine!), corsero nell'ingresso. Lì un uomo sui trentacinque anni, vagamente rassomigliante all'attore Orso Maria Guerrini, contemplava, assorto, il lampadario; sentendo arrivare i padroni di casa si volse, fece un mesto sorriso e chiese:
"I signori Spagnolo?" Flavio, intuendo e temendo lo scopo della visita, mormorò un "sì, esatto" appena udibile.
"Sono il commissario Antonio Olcese, della questura; vorrei rivolgervi alcune domande."
Renata lo accompagnò in salotto, lo fece sedere in una poltrona e si abbarbicò sull'orlo del divano. "E' successo qualcosa a Bruno, a mio figlio?"
La sua espressione era ansiosa, lo scrutava come se potesse leggergli la risposta scritta sulla fronte. Per quel momento imbarazzante, quello smarrimento, Olcese odiò il capo della mobile, che gli aveva affidato l'incarico di avvertire la famiglia: "... ma sa, Olcese, quella è gente perbene, mica posso mandargli un qualsiasi agente; e poi lei si è recato sul posto ...". Già: fosse stata una famiglia di operai, avrebbero mandato un agente a dire "il di voi figlio è morto"; ma quella è gente "rispettabile".
"Vostro figlio possiede una acentododici verde chiaro targata Genova sessantuno-settantuno-settantacinque?"
Mentre i due annuivano contemporaneamente, Olcese si detestò per quell'odioso temporeggiare.
"La vettura è rimasta coinvolta in un incidente e ..." preso coraggio, come ci si butta dall'alto di un trampolino, concluse. "... sono dolente di dovervi comunicare che il conducente è rimasto ucciso sul colpo. Vi pregherei, quindi, di volermi seguire per l'identificazione..."

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Flavio afferrò al volo Renata mentre cadeva svenuta (anzi, era venuta meno: sono le serve a svenire!), chiamò la colf dicendole di far accorrere il dottor Schiavoni, il medico di famiglia, prese la giacca e, bianco in volto, mormorò un flebile "andiamo".
Preferiva essere fuori di casa quando Renata sarebbe rinvenuta: era cosi isterica, in certi momenti...
Olcese lo guardò e gli dedicò uno sguardo di commiserazione; pover'uomo, non lo invidiava di certo, in quel frangente ...
Lo fece salire sulla Giulia biancazzurra e mormorò al conducente "all'obitorio"; la volante si mosse sulla ghiaia del vialetto ed uscì nella via.

Il commissario lasciò Spagnolo fuori dall'obitorio. Era stato orribile: i resti sfigurati e carbonizzati di quel ragazzo, Olcese non li avrebbe scordati facilmente. Il padre ne aveva fatto il riconoscimento formale grazie al Rolex da polso ed a due otturazioni dentarie appartenenti al suo Bruno.
L'uomo, che piangeva silenziosamente, spezzato dal dolore per la perdita del figlio, venne riaccompagnato a casa con la volante.
Olcese, sulla strada del ritorno, vide la gente che usciva da messa e tirò un accidenti: con quel lavoro di merda, non esisteva neanche più la domenica.


Il giorno dopo, Olcese era nel suo ufficio, un buco poco più grande di una cabina del telefono, e stava correggendo la prima stesura di un rapporto su un ferimento avvenuto nell'angiporto, a Pré, pochi giorni prima.
Sollevò gli occhi dal foglio, tirò fuori una Gauloise e cominciò a cercare l'accendino. L'aveva appena trovato, in fondo ad una tasca della giacca, quando suonò il telefono. Si accese la sigaretta e rispose. Man mano che il suo interlocutore parlava, lui si incavolava sempre più tanto che, alla fine, scaraventò la cornetta sulla forcella: era il suo superiore il quale gli aveva detto che il medico legale "pensava"(come se quell'odioso cretino fosse anche in grado di pensare, adesso!) che ci fosse un qualcosa di poco chiaro nella morte di Bruno Spagnolo; perciò il capo della squadra mobile lo aveva incaricato delle indagini "... ma sa, Olcese, lei è il più indicato: ha, come dire, seguito il caso dall'inizio ...". E così era fregato ! Prese stizzosamente le sigarette dalla scrivania ed andò all'obitorio.

Arrivato all'"Istituto di Medicina Legale dell'Università di Genova", come pomposamente veniva definito l'obitorio da una targa di travertino posta a lato dell'ingresso principale, chiese del dottor Urgu.
Questi era intento a frugare in un cadavere alla ricerca di un paio di pallottole. Ad Olcese quel sardo piccolo e tarchiato, tutto nero, ricordava uno di quei corvi che si nutrono di carogne.
Si avvicinò al vetro di divisione della sala di necroscopia e, azionando l'interfono, chiese adirato: "Allora, Urgu, mi spieghi un po' cosa ci sarebbe, secondo il suo illuminato parere, di così poco chiaro nel caso Spagnolo".
"Il fatto è, caro Olcese (quanto li odiavo quei "caro"!), che su ciò che rimane del viso dello Spagnolo, ho trovato dei segnetti, come dei graffi abbastanza freschi e ..." Fece una pausa poiché, sotto le dita, sentiva una pallottola; il commissario ne approfittò per dire, con tono ironico: "Non so se lei ha mai avuto cose del genere, in faccia; io, quando allungavo troppo le mani con le mie amichette, ne avevo la faccia piena."
"Strane amiche frequentate, lei ed il fu Spagnolo; io, se allungavo troppo le mani, rimediavo al massimo un ceffone, non un colpo in faccia con un tubo di ferro!"

Olcese lasciò l'obitorio con un'espressione stranita. Urgu aveva notato, nei famosi graffi, delle particelle di ferro ed inoltre, sotto l'orecchio sinistro, aveva trovato un taglio abbastanza profondo che lo aveva fatto pensare ad un tubo di ferro di circa dieci centimetri di diametro, probabilmente un tubo Dalmine da ponteggi; il piccolo sardo aveva anche assicurato che ferite del genere non potevano essere state provocate dall'incidente.
Ciò poiché, visto come era conciata la macchina, vista la posizione del cadavere e visto un'altro centinaio di cose interessanti, insomma, lì a poco Olcese avrebbe dovuto cominciare a cercare, e possibilmente trovare, il virtuoso del tubo.
Olcese difficilmente bestemmiava, la trovava una cosa idiota, ma come fu al volante della sua Kadett, trascorse dieci minuti buoni a prendersela con tutti gli inquilini del regno dei cieli: che storia schifosa!
Poi consultò il suo orologio da polso il quale gli dichiarò, in piena sincronia col suo stomaco, che era quasi ora di cena, ragion per cui, li a dieci minuti, si ritrovò nel bar sotto casa alle prese con un aperitivo dolciastro.
Era lì, col naso tuffato nello zucchero del bordo del bicchiere e la mente in tetri pensieri, quando sentì una voce garbata dirgli: "Dottor Olcese, mi pregio di augurarle la buona sera e mi permetto di rammentarle che, chi non beve in compagnia ..."
Il commissario si girò con un sorriso: c'era una sola persona che gli si rivolgeva così: quel mattacchione (od era più giusto definirlo "sballato" tout-court?) di Giorgio Zanelli, un suo giovane vicino di casa.
Per l'esattezza, aveva occupato l'appartamento accanto al suo ed erano, quasi senza accorgersene, diventati buoni amici.
"Ciao Giorgio, cosa bevi?" "Lo stesso tuo veleno, che chi non crepa in compagnia ..."
Arrivò l'altro analcolico e Giorgio si rivolse ad Olcese.
"Ti vedo nero. Cosa c'è, hanno deciso che quando faranno il sindacato di polizia, ti regalano alla Gestapo?"
Olcese rise dello sfottò e decise di stare allo scherzo. "Mavaldiavolo! Alla Gestapo, tra l'altro, non mi vogliono perché dicono che sono un cattivone". Poi ricordò i suoi tetri pensieri.
"No, sono nero per una bega d'ufficio, ma è troppo lunga da raccontare".
Giorgio, cambiando le espressioni del volto come i bambini, fece la faccia seria, poi quella offesa, poi ancora quella astuta ed, alla fine della mimica, lanciò la proposta.
"Tu sai che io sono più curioso di una portinaia; nonostante ciò, o forse proprio per questo, con quella tua testa da pulotto mi dici abbastanza da incuriosirmi ed ora aspetti che io faccia la prossima mossa. Okei, visto che sai che avrei tentato di rapirti, se avessi sentito ciò che hai detto, e lo hai detto, desumo che il tuo programma per stasera sia il solito: spaghetti scotti al burro, fettina e tivù.
Ti faccio una proposta ragionevole per un'alternativa eccitante: pizza e due chiacchiere. Ti va?
Olcese sorrise. "Se proprio insisti..."
"Che maledetto scroccone ..." rispose sorridendo l'altro.


Dopo una ventina di minuti erano seduti in una pizzeria di via Venti Settembre, con due birre scure e l'ordinazione già passata in cucina per due 'margherita'.
"Dai Antonio, confessati con Padre Giorgio: hai sulla coscienza qualche operaio manganellato durante uno sciopero?"
"No, è una squallida storia di morti ammazzati. Ora ti racconto ..." Dopo dieci minuti Giorgio era al corrente di tutto; fece una smorfia e chiese:
"Sì, ho capito tutto meno una cosa: perché ti ci incazzi tanto? D'accordo, è un omicidio, ma non è mica il primo della tua carriera, no? Per quanto possa essere rognosa, questa storia fa parte del tuo lavoro. Mica ti ha obbligato nessuno ad entrare nella madama, scusa! Come dice il proverbio, 'hai voluto la bicicletta? e adesso pedala' ".

================================ Fine modulo 2 ========================================

 

 

"Sì, ma ... sono due le cose che mi fanno incavolare: la prima, estremamente marginale, è di ordine ... diremo così, filosofico: perché si deve crepare ammazzati a vent'anni, quando uno non ha neanche ancora cominciato a vivere?
L'altra è, invece, d'ordine personale: io, in quell'ambiente, mi ci giro da cani; diciamo che nei quartieri "alti" meno ci vado e meglio sto e l'idea di andare in mezzo a quella gente a fare domande mi ispira veramente poco; non so, ho l'impressione che mi sfottano perché non sono dell'ambiente "in" come loro ed i loro fottuti conti in banca e la loro maledetta presunzione ed il loro potentissimo giro di amicizie e quell'accidente di erre moscia che ti sbattono sul muso come un insulto".
Giorgio annuì, pazientemente. "Io, che ci sono pur nato, non ho per niente la erre moscia ..." disse, arrotando regolarmente tutte le erre "... comunque, tornando a fare discorsi seri, ricordati che un bel po' di quella gente ha i conti più in rosso dello stato: tutta facciata! Gli unici che se la passano veramente bene sono i negozianti che fanno prezzi che fulminano. Però ti capisco, ne sono scappato anch'io, da là.
Beh, se tu volessi e se io potessi, ti ci andrei io a fare domandine facili-facili, ma non credo che ..."
"Difatti! Levatelo dalla testa! Ci sono puttanate come il segreto istruttorio, nel mio lavoro; se tu volessi farmi trasferire a Lipari, o in qualche altro sperduto buco a casa del diavolo, basterebbe che parlassi in giro di questa faccenda; capisci?
E poi, a che titolo faresti le domande? Se non fai vedere il tesserino non aprono neanche la porta di casa, altro che la bocca!
No, per carità, ti ringrazio, ma scordati tutto; se si viene a sapere che ne ho parlato in giro, il questore si fa un paralume con la mia pelle. Mi sono solo voluto sfogare e ti ho raccontato tutto perché so che non vai a chiacchierare in giro".
"D'accordo, cambiamo argomento. Senti un pò: Titta è tornata alla carica ed ha deciso che voglio assolutamente sposarla; così farò la fesseria verso dicembre".
"Dai, dai, che non vedi l'ora di farti una famiglia; tu di quella ragazza sei proprio innamorato perso!"
"Diomio, ma allora è proprio una congiura a carattere nazionale! Va bene; visto che la pensi così, voglio inguaiare anche te: mi hanno detto che devo procurarmi un tizio che testimoni che son stato proprio io a dire sì, anche se voglio che mi facciate l'antidoping prima, durante e dopo la cerimonia. Comunque dicevo: vorresti essere tu il quidam in questione?"
"Per volere, vorrei; ma sei sicuro di volere un lurido pulotto al tuo matrimonio?"
"Sicurissimo, che diamine! Uno zitellone come te mi serve per scaramanzia. E poi, quando le cose andranno male, non potrò certo rinfacciare ad uno scapolo di non avermi avvertito delle 'gioie' del matrimonio".
Olcese rise ed acconsentì. Poi continuarono a scherzare e chiacchierare per ancora un'oretta ed, alla fine, se ne tornarono a casa passeggiando nella tiepida serata.
Quella sera Olcese notò, prima di addormentarsi, che l'amico gli aveva fatto sbollire l'irritazione; era decisamente un'amicizia rilassante, quella.


Il giorno dopo tornò regolarmente in questura; era una soleggiata giornata di fine maggio e gli studenti del liceo, lì accanto, trotterellavano pensando all'imminente fine dell'anno scolastico, a quella dannata materia da portare a settembre, al loro grande amore e tutto in un allegro miscuglio di suoni e colori vivaci.
Era di buon umore: sentiva, oltre il frastuono del traffico in sottofondo, lo stridìo delle rondini e si guardò attorno soddisfatto: Genova, quando c'è il sole, è una città magnifica anche vista con gli occhi delle otto-meno-un-quarto del mattino. Alzò gli occhi al cielo limpidissimo, poi volse lo sguardo e rimase perplesso: notò, per la prima volta, che c'era il segno di una erre puntata, davanti alle lettere di bronzo infìsse sopra l'ingresso del la questura; così era ancora possibile leggere R. QUESTURA. Riflette che la repubblica avrebbe anche potuto trovare, in trent'anni, un operaio per dare una raschiata a quella lastra di travertino.
Era seduto da pochi minuti alla scrivania, quando entrò il brigadiere Mendolia, suo laconico assistente, che lo salutò e gli fece svanire il buonumore.
"Mi hanno detto di avvertirla che il dottor Urgu ha avuto l'autorizzazione per la necroscopia sul corpo di Spagnolo Bruno".
Olcese tirò un accidenti: le rogne stavano per cominciare.
Rimase a fare lavoretti di ordinaria amministrazione sino alle quattro del pomeriggio. A quell'ora rispose al telefono che squillava con insolita urgenza.
"Buonasera, sono Urgu. Le ho telefonato per preannunciarle che il caso Spagnolo è ufficialmente un omicidio".
Fece una pausa, giusto per dare ad Olcese il tempo di afferrare il concetto. Tuttavia il commissario, avendo già capito lo scopo della telefonata dal tono trionfalistico del "medico dei cadaveri", trascorse quell'intervallo a suspance a maledire il giorno che si era arruolato nella polizia. Di nuovo la detestabile voce del medico.
"L'ora della morte la si può indicare tra le tre e trenta e le tre e quarantacinque del mattino, al più tardi. Tuttavia, secondo i rapporti della stradale e dei pompieri, l'incidente è avvenuto tra le quattro e le quattro e dieci: questo è stato appurato dalle indagini fatte sul posto. Ma c'è di più: non vi erano assolutamente tracce di frenata, sul luogo dell'incidente. La protezione di legno è stata spaccata da un'auto che procedeva ad una velocità non superiore ai trenta chilometri all'ora; del resto, se la velocità fosse stata più elevata, l'auto sarebbe finita in mare. Inoltre il corpo era carbonizzato, come se fosse stato cosparso di benzina; è stato effettivamente appurato che il serbatoio del carburante aveva un foro, forse dovuto all'urto, anche se io non ci credo; difatti nelle acentododici il serbatoio è a destra, mentre il corpo era regolarmente a sinistra. Questo è importante perché, visto come e dove è stata ritrovata la macchina, è impossibile che la benzina sia gocciolata sul corpo. Le ho solo voluto anticipare il rapporto che riceverà tra poco, ma, alla luce di questi fatti, come le sembra la faccenda ora, considerando anche il tubo in faccia che ha ammazzato lo Spagnolo?"
Olcese sentì di odiare ancora di più, se possibile, quel piccolo squartamorti sardo per il tono trionfalistico della sua voce.
"Olcese, è sempre lì?" Chiese Urgu preoccupato dal lungo silenzio dell'interlocutore.
"No, sono in vacanza alle Baleari!"
Rapito dall'interesse del caso, il medico non notò minimamente l'ironia del commissario.
"Beato lei; beh, quando torna troverà tutti i rapporti sulla scrivania. Mi stia bene e si diverta!"
Olcese tirò un violentissimo accidenti all'indirizzo del medico, sbattè la cornetta sulla forcella, provocando piccole crepe sulla plastica ormai avvezza a simili trattamenti, e si dispose ad aspettare l'ordine di iniziare le indagini ed il relativo incartamento. Attese meno di mezz'ora; poi un piantone apparve con tutti i papiri che i burocrati della prima repubblica erano riusciti ad organizzare per quel recente delitto.
Scorse brevemente i vari fogli, borbottò improperi e chiamò il suo aiuto Mendolia.
"Brigadiere, il caso Spagnolo è un omicidio e ci è stato scaricato addosso; adesso prenda una pantera, due uomini in gamba e vada ad interrogare la famiglia, i compagni di studi, gli amici: insomma, le solite menate. Vada!"
Mendolia mormorò un assenso ed andò ad iniziare le indagini. Dopo circa venti minuti, Olcese riuscì a fermarlo proprio mentre stava uscendo con una pantera.

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